Mafia Capitale non è mafia, ma perché e soprattutto, cosa è oggi mafia?
Come al solito qualcuno indica la luna e gli stolti guardano il dito. La sentenza del processo Mafia Capitale (scusate, ma la chiamerò sempre così) dimostra ancora una volta l’inadeguatezza dello Stato e delle sue leggi rispetto ai fenomeni criminali che mutano. La mafia, o meglio le mafie, in questo momento non sparano, non perché non vogliono, semplicemente non ne hanno bisogno. Lo fanno solo per ristabilire equilibri gerarchici nelle varie cosche che poi devono confrontarsi con i colletti bianchi referenti di turno. Per il resto ci sono i soldi, tanti, fiumi di denaro che servono per comprare uomini, mezzi, silenzi e complicità.
Carminati e soci non sono stati riconosciuti colpevoli del reato del codice penale 416 bis, ovvero l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Questo significa che per loro le pene, comunque severe, non sono state ancora più pesanti. Il Fatto Quotidiano scrive: “Non c’è mafia sotto al Colosseo, solo ricatti, violenza, corruzione e criminalità comune”.
L’articolo 416 bis attualmente recita: «L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali».
Non sono i condannati a non essere mafiosi in questa sentenza che li riconosce tali, ma è lo Stato italiano con le sue leggi che non va al passo con tempi. Molto più semplicemente in questo momento in Italia la lotta alle mafie è direttamente proporzionale alla lotta alla corruzione. Più si combatte la corruzione, più si combattono le mafie, i loro affari e i loro complici. Di questo, però, sembra che i Governi italiani non ne vogliano sentir parlare. Se nel 416 bis fosse stato inserito il reato di corruzione come aggravante a quest’ora staremmo commentando un’altra sentenza. È passato più di una anno da questo trafiletto apparso sui giornali: “Inserire la corruzione come aggravante del reato di associazione di tipo mafioso (416 bis) quando si evidenzi che l’associazione mafiosa utilizzi la corruzione come modalità di manifestazione della sua capacità di controllo: è quanto ha chiesto al legislatore il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, presentando la relazione sull’attività annuale della Dna”.
Appello caduto assolutamente nel vuoto, così come si è impantanata la legge sulla confisca preventiva agli indagati e condannati per corruzione. Certo in un Paese con un livello di corruzione altissimo non ci si può mica aspettare altro dai suoi governanti, ma c’è chi si batte e lo farà sempre, per strada come in Parlamento, perché queste leggi prima o poi diventino realtà.