Crotone,
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Le vendette contro Renato Cortese che paga per responsabilità di altri

Renato Cortese alla presentazione del libro "Al posto sbagliato" con Graziella Accetta, Bruno Palermo e Giuseppe Castronovo

foto: CrotoneNews

Se ti permetti di disturbare il manovratore quasi sicuramente te la faranno pagare. Come? In che modo? In qualsiasi modo, quando riterranno opportuno, quando i tempi saranno maturi perché nessuno scenda in piazza, faccia rumore, “disturbi il manovratore”.

Renato Cortese è un signor investigatore, è un poliziotto di straordinario intuito e acume: è un calabrese mischiato con un siciliano. È il prodotto di culture diverse, meravigliose e aperte al mondo.

È sempre stato in prima linea nella lotta alla mafia. Ha investigato e catturato (dirigeva la squadra catturandi della Questura di Palermo) i boss più pericolosi e i latitanti più importanti di “cosa nostra” (volutamente minuscola).

Ha lavorato con magistrati di altissimo spessore, spendendo il suo tempo a difendere la Repubblica e servire la Costituzione italiana, quella su cui ha giurato.

C’è stato un tempo in cui il figlio di Santa Severina, antico centro culturale del Crotonese, ha lasciato la “sua” Palermo perché quei magistrati di altissimo livello lo volevano al loro fianco. Consci di che persona avevano di fronte e su quale intelligenza investigativa e di rispetto della legge potevano contare. E allora a Reggio Calabria a dirigere la Mobile, a Roma alla Squadra Mobile e a dirigere lo Sco (servizio centrale operativo). Il 29 maggio del 2013 l’irruzione nella villa di Alma Shalabayeva (moglie di un dissidente kazako) e di sua figlia a Casalpalocco, a Roma. La consegna nelle mani del governo kazako, proprio quello che perseguitava il marito.

Il ministro dell’Interno era Angelino Alfano.

Ma chi impartì quegli ordini a Renato Cortese e ai suoi uomini?

Chi avrebbe potuto fare pressioni sul Governo italiano perché quel blitz avesse luogo?

Perché anche di questo si tratta. Chi può avere interessi talmente grandi? Chi può condizionare (se di questo si è trattato) le scelte del Governo italiano e di un ministero come quello dell’Interno?

Domande alle quali noi ci siamo dati una risposta, ma è la nostra esclusiva opinione.

Voglio concludere questo riconoscimento morale, intellettuale e di grande stima personale e professionale per Renato Cortese con due appunti.

Il primo commento di Claudio Fava, presidente della Commissione regionale Antimafia all’Ars (assemblea regionale siciliana) alla sentenza del Tribunale di Perugia che condanna a 5 anni di reclusione Cortese pubblicata da Il Riformista:  «Una sentenza di imbarazzante e manifesta ingiustizia: chi volle quell’espulsione, fornendo informazioni false, la fa franca; chi si trovò a dover applicare la legge, in galera. L’umiliazione per Renato Cortese, per gli altri condannati e per questo paese in cui, sul palcoscenico dell’antimafia da operetta, si esibiscono ogni giorno eserciti di narcisi petulanti e inoffensivi, resta intatta. Ci sarà un processo d’appello, è vero. Pur rispettosi di ogni sentenza penso che occorra far sentire lo stupore e l’imbarazzo per la condanna di chi applicò le disposizioni ricevute e per la graziosa immunità riconosciuta a chi quelle disposizioni le impartì».

La seconda, che allego di seguito, è la lettere che Renato Cortese ha scritto a Palermo e ai palermitani, che si sono stretti al loro ormai ex Questore in una manifestazione spontanea di solidarietà davanti al teatro Massimo. Manifestazione alla quale ha partecipato anche Vincenzo Agostino, papà di Nino, poliziotto ucciso in circostanze misteriose, e che mostrava sul telefonino la foto di un giovane Cortese subito dopo la cattura di Bernardo Provenzano.

Ecco la lettera di Cortese.

Lettera di Renato Cortese a Palermo