Oggi torno a scrivere perché raccontare di un uomo buono, un uomo importante per la mia infanzia e per un quartiere intero. Lui è Aldo Adamo, il rione è quello popolare di San Francesco.
Aldo è passato a miglior vita oggi, a Bologna, città che conosceva bene (anche per averci portato il fratello Antonio a studiare medicina) e nella quale cercava ristoro ai suoi problemi di salute.
Aldo Adamo, come del resto tutta la sua famiglia, hanno rappresentato per le famiglie del rione San Francesco un scialuppa di salvataggio, un salvagente per non affogare. In quelle via dedicate ai morti di Melissa (Francesco Nigro, Angelina Mauro, Giovanni Zito e Fragalà, la zona dell’eccidio) i palazzotti di tre piani di case popolari furono abitati dai primissimi anni Sessanta. Case modeste, ma solide, con un tetto e soprattutto con l’acqua corrente e l’energia elettrica. Case assegnate ai meno abbienti, alle forze dell’ordine, come da prassi per la case popolari. Insomma un microcosmo fatto di mille colori, mille profumi e centinaia di sfaccettature diverse. Era una sorta di fortino nel quale ripararsi e trovare conforto. È lì che decine di generazioni di ragazzi sono cresciuti per strada e diventati uomini e donne, molti anche di successo e che hanno contribuito al bene di tutta la città.
In quelle vie, all’epoca lontanissime dal centro abitato, poiché in mezzo c’era pochissima urbanizzazione, ci si arrangiava. I servizi non erano stati creati per quel rione, così bisognava ingegnarsi. Qualcuno sacrificava una stanza del proprio appartamento, soprattutto al piano terreno, e nacquero così fruttivendoli, empori vari, addirittura bar. Gli Adamo, che avevano un forno per il pane in via Libertà, fittarono una stanza e ci aprirono un minuscolo negozio di generi alimentari. Ed è lì, in quei pochissimi metri quadrati, che generazioni di ragazzi di San Francesco, sono cresciuti con e insieme ad Aldo. Era lui che dirigeva il piccolo alimentari, anche se ogni tanto lo sostituivano i fratelli, soprattutto di pomeriggio. Come tutti i quartieri popolari lo sport preferito e praticato era il calcio. E il lunedì la piccola bottega si trasformava in un Bar sport di solito con toni molto accesi, ma senza mai trascendere, anzi spesso ci si prendeva in giro a vicenda e si finiva sempre col sorriso sulle labbra.
Agli inizi degli anni Settanta, Aldo mi face diventare una delle attrazioni. Durante i Mondiali del 1974 io avevo appena 5 anni, ma sapevo a memoria la formazione del Brasile, quella che poi perse in semifinale con l’Olanda di Cruyff. Aldo mi chiamava, poi faceva avvicinare tutti quelli che si trovavano nei pressi della bottega e mi chiedeva di ripetere a memoria la formazione, alla fine il regalo era un panino all’olio.
Aldo era ironico, intelligente, scaltro, buono e paziente. Quando si rendeva conto che nella minuscola bottega c’era troppa gente e non si riusciva più nemmeno a parlare, chiamava il fuorigioco. In pratica lui stava dietro al bancone e di fronte aveva la porta di ingresso/uscita, all’improvviso alzava il braccio destro (come poi fece Baresi negli anni 90), gridava “fuorigioco, fuorigioco, tutti fuori”, e ci portava tutti nel piccolo piazzale davanti. Ovviamente era sempre una risata infinita che chiudeva questo fuorigioco.
Ma Aldo è stato anche un esempio per molti giovani, un fratello maggiore, l’allenatore della Seniores, la squadra del quartiere che partecipava ai tornei della città. E qui il ruolo era conteso col suo fratello allenatore vero, Fofò.
E poi la mitica “libretta”. San Francesco era un quartiere abitato prevalentemente da famiglie non benestanti che spesso facevano mille sacrifici per arrivare alla fine del mese. Pochissimi avevano uno stipendio fisso, quasi nessuno lavorava in fabbrica. Così si era inventato la “libretta”, un quaderno in cui ogni famiglia del rione aveva a disposizione più pagine per il credito. Si faceva la spesa per settimane, poi alla fine del mese si dava quanto si poteva e il conto veniva scalato man mano, fino ad arrivare possibilmente a saldarlo tutto, o forse no. Quella “libretta” consentì a tantissime famiglie del rione di “campare” e di mangiare, grazie ad Aldo, alla sua famiglia. Non basterebbe un libro per descrivere cosa sia stato Aldo per i ragazzi di San Francesco, non basterebbe una enciclopedia per descrivere le emozioni che si accavallano nella testa alla notizia della sua dipartita. L’ultima volta ci siamo visti ai funerali di mio fratello Franco. Franco ha lavorato una vita al Superforno Adamo, sorridendo, gli dissi: “era meglio quando chiamavi il fuorigioco”. Ci scambiammo i sorrisi amari per entrambi, perché entrambi davanti alla bara di mio fratello, avevamo negli occhi la malinconia di un tempo bello andato troppo lontano.
Buon viaggio Aldo, noi portiamo nel cuore, per sempre, perché con te siamo diventati donne e uomini, abbiamo quasi sempre riso e mai pianto. Ciao cuore buono.