Crotone,
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Naufragio Cutro, al PalaMilone tre piccole bare bianche ancora senza nome e cognome

Le piccole bare bianche nel PalaMilone

Tra le dodici salme ancora nel PalaMilone di Crotone, ci sono tre bare bianche senza un nome e cognome. Di una si sa che di un bambino di meno di un anno, delle altre l’età è ancora incerta, ma sono piccoli corpicini e, soprattutto, nessuno li ha ancora reclamati. Difficile il lavoro della Polizia scientifica della Questura di Crotone, difficile anche dal punto di vista umano oltre che professionale. Prelevato il Dna a tutte le vittime e autorizzati dalla Procura alla comparazione con i parenti, toccherà a loro comparare i Dna tra le piccole salme  per capire se sono fratellini. Occorrerà cercare di capire anche quanti sono ancora i dispersi e se tra questi ci possono essere i genitori dei piccoli ancora senza un nome. Da quello che è stato possibile apprendere, con una stima approssimativa e sulla base di richieste e testimonianze, i dispersi al momento potrebbero essere tra 20 e 25. Struggente il racconto di Manuelita Scigliano dell’associazione Sabir, tra le prime ad assistere superstiti e parenti delle vittime.

“A distanza di 24 giorni, quando pensi che nell’assurdità del male che si è arenato a pochi chilometri da casa tua hai visto davvero tutto, e che hai pianto davvero tutte le lacrime che potevi, abbracciata a sconosciuti che in pochi giorni sono diventati affetti e amici, c’è ancora qualcosa che riesce a toglierti il fiato. E quel qualcosa è la salma di un bimbo di pochi mesi, un bimbo che aspetta da 24 giorni, solo, non abbinato a nessuna mamma e nessun papà, forse ancora dispersi, forse semplicemente non ancora riconosciuti. E quella piccola salma nello spazio oramai quasi vuoto del PalaMilone è uno schiaffo in pieno volto ai tanti discorsi sentiti in questi giorni, è la banalità del male che diventa banalità dell’indifferenza, di un dolore che sarà presto archiviato, del corpo di un neonato dimenticato che scivolerà nell’oblio di una tomba anonima su cui nessuno porterà mai fiori.

Ecco quello che noi possiamo fare, quello che insieme a tanti stiamo disperatamente provando a fare, è far in modo che Ali non sia solo un altro numero nella conta senza fine dei morti in mare, dei morti di speranza, dei morti lungo la strada verso il sogno di un futuro migliore. E che magari sia anche l’ultimo bambino ad aspettare solo, chiuso in una bara troppo grande, dentro un palazzetto troppo grande, un destino troppo ingiusto”.