Perdere la partita della vita e uscire dallo stadio tra gli applausi capita solo al Crotone. Applausi che per la verità oggi pomeriggio, dopo Crotone-Cagliari 1-2 i tifosi li hanno dedicato a sé stessi. Al loro amore per la maglia, per la squadra, per la città. Un sentimento vero ed un comportamento esemplare, quello del pubblico crotonese. Un pubblico da serie A, anzi forse anche da Champions League.
Eppure solo 13 mesi fa, battendo proprio il Cagliari allo Scida, in una di quelle rare sere galate dell’inverno crotonese, iniziava la magia. Iniziava il sogno. La promozione allora non era matematica, ma battendo la prima in classifica quel Crotone diceva a tutta Italia di non avere rivali. Oggi, perdendo contro la stessa squadra, che non è di certo la prima in classica, il Crotone non è retrocesso matematicamente ma ha detto a tutta Italia che questa seria A non fa per lui. Perché perdere la partita della vita in casa significa che nel serbatoio non c’è benzina, significa soprattutto che in questo campionato si è riusciti a sbagliare tutto e più di tutto. Non i tifosi. I tifosi e la città di Crotone non hanno sbagliato niente: hanno ringraziato la società della bella promozione a suon di abbonamenti. Facendo registrare il tutto esaurito dei settori popolari nel giro di pochissime ore. Pretendere di riempire una tribuna costosa ed incompleta era forse davvero troppo. Tutto sulla fiducia, perché lo stadio non era pronto quando la campagna abbonamenti è partita e non lo sarebbe stato nemmeno a campionato iniziato, ma ai crotonesi non importava. Era l’amore per la maglia al primo posto.
Il calcio è uno sport strano, meraviglioso e terribile. Ti regala sogni che non avresti mai pensato di realizzare e poi ti offre gratuitamente cocenti delusioni. Ed è terribile perché alla fine ciò che conta non sono i sogni, né l’amore della gente per questo sport, ma sono i soldi. Ed è un bel paradosso perché se non ci fosse tanta gente al mondo innamorata del calcio non ci sarebbero nemmeno tanti interessi economici a tenerlo vivo. Eppure, nonostante la realtà, i sogni restano soltanto sogni ed i soldi continuano a muovere tutto. Le squadre di calcio non sono solo ciò per cui moglie e marito litigano la domenica, quelle scuse meravigliose per prendersi in giro il lunedì mattina in ufficio con i colleghi, le squadre di calcio sono aziende, fatte da manager, leader, presidenti. Tutti concentrati a far carriera. Cosi come i calciatori e gli allenatori. Loro sono pagati per soddisfare l’ego di chi li ingaggia e, anche, se resta spazio, per riempire il cuore degli supporters. Ma alle volte capita che anche i calciatori si dimostrino “umani” e incapaci di divertire e di fare ciò per cui vengono profumatamente pagati. Ed ecco che il calcio diventa improvvisamente un’altra cosa.
Ma quando c’è una squadra che non ha fatto il suo dovere, non fosse altro perché sta disattandendo le aspettative dei suoi tifosi, che esce tra gli applausi; quando c’è un allenatore che non è riuscito nell’intento di trasmettere energia e grinta al suo gruppo che viene comunque apprezzato per il semplice fatto di aver lavorato nonostante le mille difficoltà, allora è in quel momento che il calcio ritrova il suo senso. Perché il senso del calcio è nella gente che lo segue e non nelle quotazioni in borsa, ma capire questo, forse, non fa comodo a nessuno.
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