Non so a cosa porterà l’indagine sulle stragi del 1993 ed in particolare l’inchiesta di Firenze nella quale ora sono indagati Sivlio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. So, però, quello che da anni vado ripetendo, proprio sulla strage di via dei Georgofili e, in generale, sulle bombe del 1993. Non ho mai creduto che gente del “calibro” culturale di Totò Riina e dei suoi “alleati criminali” abbiano potuto avere contezza del patrimonio culturale italiano da attaccare per ricattare la parte buona dello Stato. Chi ha avuto modo di incontrarmi in questi anni sa che parlando del mio libro “Al posto sbagliato – storie di bambini vittime di mafia”, ho sempre sostenuto che dietro quell’attentato di Firenze ci fosse stato qualcuno che di arte ne capiva e non solo. Che in quell’occasione, e non solo in quell’occasione, i mafiosi siciliani avevano solo utilizzato il proprio braccio armato, ma l’idea era partita da altre persone. Chi mi ha incontrato sa di cosa sto parlando e sa di quante volte ho ripetuto questo concetto. Ora c’è una Procura della Repubblica che sta indagando proprio su questo. Coinvolti Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, fondatori di Forza Italia. E guarda caso nei giorni scorsi il magistrato reggino Giovanni Lombardo, nel corso di una conferenza stampa dice a tal proposito che gli omicidi di secondini e carabinieri, le stragi di via d’Amelio e Capaci, le bombe a Roma, Firenze e Milano, all’improvviso si fermano ed ecco la pace. La strategia stragista portata avanti dalla criminalità organizzata “si arresta o si depotenzia – dice il giudice Lombardo – non appena i corleonesi, la ‘ndrangheta ed altre organizzazioni criminali come la camorra e la sacra corona unita trovano nel nuovo partito di Forza Italia la struttura più conveniente con cui relazionarsi”. È praticamente una sorta di nuovo Patto fondativo della Seconda Repubblica quello ripercorso dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che in conferenza stampa ha illustrato i particolari dell’operazione “ndrangheta stragista“. (Il Fatto quotidiano). Una notizia data e subito dopo scomparsa da quasi tutti i notiziari nazionali. A questo va aggiunto quanto scriveva il quotidiano di Torino, La Stampa il 3 marzo 2015: “Libri e opere d’arte, sequestrato il tesoro di Dell’Utri”. Marcello Dell’Utri ha ricporto diversi ruoli di Governo in Italia ed oggi è detenuto per una condanna definitiva a sette anni per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.
Ad un attento osservatore queste cose non potevano passare inosservate, così come non poteva passare come cosa normale l’attacco delle mafie italiane all’immenso patrimonio culturale del Paese. Chi mi conosce sa che ho preso a prestito da Socrate la costruzione del sillogismo per mettere insieme negli anni proprio il puzzle delle stragi del 1993. Del resto non poteva essere tutta farina del sacco di Riina & Co.
Del resto già durante un interrogatorio nel 1994, il pentito Salvatore Cancemi disse: «Cosa Nostra non ha la mente fina di mettere un’autobomba come quella di Firenze: sono pienamente convinto che questo come gli altri fu un obiettivo suggerito». Nel 1994 il magistrato Piero Luigi Vigna, responsabile delle indagini, affermò che dietro le stragi ci furono «mandanti a volto coperto»
Vedremo dove porterà l’inchiesta di Firenze, ma intanto, a distanza di 24 anni, Totò Riina è ancora imputato nel processo che, sempre a Firenze, lo vede alla sbarra perché ritenuto uno dei mandanti della strage di via Georgofili. Strage nella quale morirono Caterina Nencioni (nata meno di due mesi prima), la sorellina Nadia, la mamma Angela Fiume, il papà Fabrizio Nencioni e il giovane studente di La Spezia, originario della Sicilia, Dario Capolicchio. Furono 48 i feriti e immensi i danni al patrimonio culturale.