Fermiamoci per favore. Fermiamo questa bramosia di mostrare l’orrore, il sangue in diretta. La morte e il dolore che ne conseguono sono una cosa seria, non sono un selfie da postare sui social per assicurarci like e condivisioni.
La velocità dell’epoca in cui viviamo non giustifica la spettacolarizzazione dell’orrore.
Non giustifica le foto violente e irrispettose (e non è l’unica volta) fatte girare nelle chat di Whatsapp e di altri social sull’incidente accaduto questa mattina.
E non giustifica soprattutto il fatto che nel bel mezzo dei rilievi, con il corpo senza vita di una giovane sull’asfalto, un vigile del fuoco (che vorrei abbracciare) sia stato costretto a bloccare uno dei tanti curiosi che stava effettuando una videochiamata per mostrare in diretta lo strazio. C’è un limite a tutto.
E soprattutto ci dovrebbe essere un minimo di buon senso. Quello che, insieme ad etica e deontologia, deve regolamentare anche l’operato di noi giornalisti.
Siamo media, il nostro compito è di mediare le notizie rispetto al pubblico senza aggiungere dolore al dolore, orrore all’orrore.
Se in un incidente mortale copriamo il numero di targa, non pubblichiamo subito i nomi delle vittime pur conoscendoli, ci sono ragioni deontologiche ed etiche ben precise.
Abbiamo il dovere di tutelare il dolore dei famigliari, dei parenti e degli amici delle vittime. La nostra deontologia ci impone di rendere pubblici i nomi quando siamo sicuri, attraverso una verifica incrociata, che le forze dell’ordine abbiano avuto modo di avvisare le famiglie della tragedia che li ha colpiti.
E nell’era digitale, social e della rapidità è un pensiero che dovremmo avere tutti, anche chi giornalista non lo è. Pensiamoci, riflettiamo prima di fare qualsiasi azione che possa aggiungere dolore al dolore, orrore all’orrore.
Per quanto mi riguarda preferisco pubblicare la notizia in ritardo, piuttosto che correre il rischio che qualche congiunto stretto sappia apprenda dal mio giornale una notizia terribile.
Dobbiamo fermarci, tutti. Evitare di spettacolarizzare il dolore, il sangue, la tragedia. A che serve?