Crotone,
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Crotone, 14 ottobre 1996: abbiamo spalato fango, mentre altri fumavano sigari profumati

Abbiamo spalato fango per giorni, settimane. E nel fango vedevamo andare via pezzi di casa, di ricordi, di vita, fotografie macchiate di melma che rimandavano volti e facce felici di un tempo passato. Nulla o quasi è andato salvato. Quel fango ce lo portiamo ancora negli occhi, quell’odore acre, strano, a metà tra un panno umido ed una fogna appena scoppiata, rievoca nelle nostre menti brutte sensazioni, cupi malesseri che si ripetono ciclicamente, ogni volta che piove un po’ di più. Abbiamo imparato ad aver paura dell’acqua, non della natura, quanto dei disastri che l’uomo provoca ad essa e le conseguenze devastanti che riusciamo a produrre. E ancora oggi abbiamo paura quando piove. Ci precipitiamo a vedere il fiume, la situazione dei canali, quell’alluvione ormai fa parte di noi. E non stiamo tranquilli, perché non ci sentiamo tranquilli visto che il territorio devastato nessuno lo ha ancora messo a posto, in sicurezza.

Abbiamo spalato fango, io e mio fratello, aspettando che qualcuno venisse a darci una mano. In due settimane abbiamo visto solo gli scout delle varie parrocchie che ci portavano qualcosa da mangiare e da bere. Poi un giorno si è materializzata una squadra di vigili del fuoco di Avellino (straordinari lavoratori i vigili del fuoco) che in un giorno, dalla mattina alla sera, ci hanno aiutato a tirare tutto fuori, una montagna di melma. Gabelluccia, primo piano rialzato, casa in affitto. Si sono salvati tutti perché i bambini erano a scuola, mio fratello al lavoro e mia cognata quando ha visto che la pioggia si faceva più insistente era salita ai piani di sopra da un’amica.

In quella montagna di fango e melma abbiamo cercato i pezzi di una vita da mettere insieme. Abbiamo pulito foto, dischi in vinile, pezzi di casa. Siamo riusciti a recuperare poco o niente. Il fiume si è ripreso il suo corso, quello che l’uomo aveva abusivamente occupato e qualche burocrate interessato e corrotto aveva anche condonato.

Spalavamo fango e respiravamo polvere, ma abbiamo comunque voluto partecipare alle ricerche di Michela. Lei non siamo mai riuscita a trovarla, ingoiata dalla natura, ma mai dimentica da chi ha vissuto in prima persona quel 14 ottobre 1996.

Abbiamo spalato fango, respirato polvere e ingoiato amaro. L’amaro che ti resta in bocca quando, sporco fino all’inverosimile, arrivi in Prefettura per ritirare un documento e ti trovi davanti rampolli delle famiglie crotonesi, finti comunisti a convenienza, affascinati da soldi e potere, incuranti di affari loschi, col sigaro in bocca per darsi un tono, giacca e cravatta, giornale sotto il braccio, dopo barba appena spruzzato. Lì, immobili, senza muovere un dito, aspettando chissà chi, chissà cosa.

In molti non hanno mosso un dito in quelle settimane. Ancora una volta la città ha messo in mostra il meglio ed il peggio della sua cultura. Giovani che si spaccavano la schiena per aiutare chi aveva avuto danni e altri che incuranti delle disgrazie altrui hanno continuato a vivere nelle loro nuvole di vapore, pisciando in testa ai più sfortunati. Del resto, cosa aspettarsi? Il fiume aveva invaso e distrutto i quartieri più popolari di Crotone, per cui altrove la vita proseguiva esattamente come al solito.

Noi il fango da dosso ce lo siamo ripulito con una doccia e un lavaggio in lavatrice, per altri, invece, togliere il fango dal cervello sarà molto, molto difficile.

Crotone, 14 ottobre 2017

FotoPipita