Crotone è una città strana. Una città in cui il sindaco più amato degli ultimi vent’anni ebbe modo di dire alla commissione parlamentare antimafia che la ‘ndrangheta della città è buona, quella della provincia è cattiva.
Ed è una città talmente strana che nello stesso giorno in cui l’ex prefetto Vincenzo Panico passava ad appiccicare gli adesivi della campagna “Io denuncio” contro il racket, in un’aula del Tribunale di Catanzaro dieci imprenditori crotonesi sfilavano davanti al giudice dicendo che loro non avevano mai pagato il pizzo. Una parte di quel processo verteva proprio sulle estorsioni.
Che strana città quella in cui su nove candidati a sindaco quasi nessuno osa pronunciare la parola ‘ndrangheta nella campagna elettorale. Non è un mantra per cui se non pronunci la parola ‘ndrangheta questa non esiste, e lo sanno bene, ma perché parlarne? Perché dire che gli imprenditori di questa città da decenni vivono soffocati dalla criminalità organizzata? Perché in nessun rapporto sulla situazione economica esiste la parola ‘ndrangheta alla voce perdite? E pure il Governo centrale più occupato a tenere lontano la gente dalla politica piuttosto che a farla, dovrebbe approvare una nuova legge in cui gli imprenditori possano inserire nella voce perdite: mafia.
E chi denuncia (pochi) viene chiamato eroe. Ma non è un eroe nel senso stretto del termine. Diventa un eroe per l’inerzia di quelli che invece non denunciano. Perché se la denuncia fosse pratica quotidiana, nessun imprenditore sarebbe eroe, ma semplicemente un “cittadino responsabile” come dice il testimone di giustizia Rocco Mangiardi. E mi vengono in mente sempre le parole che Giovanni Gabriele, il papà di Dodò ucciso a soli 11 dalla ‘ndrangheta, ripete ossessivamente da quando ha scoperto che quella strage è stata fatta perché l’obiettivo dei killer non aveva dato alla cosca 350 euro, frutto di una estorsione: “Se quell’imprenditore – dice Giovanni – invece di dare i soldi avesse denunciato, mio figlio Domenico sarebbe ancora vivo”. E chi se la sente di dare torto a Giovanni e Francesca che sono stati trafitti nell’animo e nel cuore dalla criminalità organizzata. Loro, persone semplici, genuine e oneste. Che strana città Crotone, quella in cui sniffare cocaina (?) sembra la cosa più normale di questo mondo. Strafarsi di alcol a 16 anni è normalissimo. E allora anche spaccare le targhe di marmo di difensori dello Stato (quello vero) è normale. Talmente normale che ci sarà la solita indignazione di parata, poi alle parole non seguiranno mai i fatti. Però abbiamo affisso fuori agli edifici pubblici le targhe con la scritta “Qui la ‘ndrangheta non entra”, anche se il problema sarebbe opposto, come farla uscire. Ma è tutto normale, tutto fin troppo normale. Non per chi ogni mattina si alza e cerca di cambiare questo modo di pensare e di fare. E lo fa con azioni quotidiane non indignandosi ad orologeria e poi andandosi a sedere nei salotti di grembiulini e affaristi di turno. Svegliati Crotone se vuoi risorgere, sveglia le coscienze dei tuoi padri prima e dei tuoi giovani poi. Ma per fare questo servono uomini con idee che incidano sulla vita della città, dai politici al clero, dagli imprenditori ai professori, ai genitori. Ognuno faccia la sua parte invece di lamentarsi e indignarsi solo su Facebook, delegando sempre ad altri anche la propria vita. La vita, quella per cui vale la pena vivere, è fatta di scelte e di responsabilità, continuando a delegare vi e ci continueremo a fare solo del male.