Ormai non si contano più i riconoscimenti e premi per il Teatro Regio di Parma e la sua direttrice, la crotonese Anna Maria Meo che ha di fatto rimesso a lucido uno dei templi sacri della lirica e dell’opera italiana.La sua nomina da parte del sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, scatenò nel capoluogo emiliano la classica tempesta in un bicchiere d’acqua, fatta anche di carte bollate e di una inchiesta finita con l’archiviazione per il primo cittadino. Tra mille difficoltà e diffidenze, Anna Maria Meo, è riuscita a colpi di successo a rilanciare il Regio e a far splendere di nuovo le stagioni del Teatro Regio di Parma.
Come nasce l’opportunità di guidare uno dei templi sacri della cultura italiana?
«Nasce in un momento in cui il Teatro, il cui bilancio era stato risanato con uno sforzo straordinario, aveva necessità di un progetto che ne rilanciasse l’attività con un’attenzione particolare al Festival Verdi il cui potenziale era completamente inespresso».
Lei è arrivata a Parma tra mille diffidenze, ma quasi subito tutti hanno dovuto fare i conti con la sua preparazione e professionalità: cosa ha messo della sua “calabresità” in questo?
«La tenacia nel perseguire gli obiettivi e la creatività nel disegnare un progetto di ampio respiro che quando mi sono insediata sembrava assomigliare più a un libro dei sogni che a un obiettivo realisticamente perseguibile».
Quanto è importante per la cultura di una comunità avere un teatro e avere delle stagioni teatrali e concertistiche in genere?
«Il Teatro dovrebbe essere il perno culturale di una comunità. Una istituzione in cui riconoscersi e ritrovare la propria identità culturale. Dovrebbe avere molteplici funzioni: contribuire alla formazione dei più giovani, stimolare la coscienza critica, rappresentare i conflitti e le sfide che quotidianamente viviamo, in generale contribuire in maniera significativa alla crescita culturale della sua comunità di riferimento».
Come è riuscita a far tornare il Regio agli antichi fasti?
«Ho cercato innanzitutto di ricostruire il rapporto tra il Teatro e la città che si era incrinato. Ho incrementato non solo in maniera quantitativa, ma anche per varietà l’offerta musicale, cercando di garantire sempre spettacoli di qualità. Ho programmato una stagione di musica da camera che mancava da molti anni, ma soprattutto ho aggiunto alla programmazione consueta una stagione dedicata ai bambini di tutte le età e alle loro famiglie. Ma il perno di tutto il progetto è stato sicuramente il rinnovato Festival Verdi la cui naturale vocazione internazionale era evidente, ma andava sviluppata e valorizzata».
Ora parliamo un po’ della sua “crotonesità”.
C’è qualcosa che le manca in particolare di Crotone, e se sì cosa?
«Mi manca il mare e il senso di grande apertura e di infinito che il suo orizzonte apre, ma mi mancano talvolta anche i ritmi di vita un po’ più lenti che sembrano invitare alla riflessione. La cucina non mi manca: io stessa ne sono ambasciatrice e mia madre mi rifornisce in tutte le occasioni dei prodotti migliori della nostra gastronomia».
Qual è il piatto tipico crotonese di cui proprio non ne può fare a meno?
«Senza dubbio maccheroni e covatelli con la ricotta salata».
Guiderebbe un teatro calabrese, e se si quale?
«Devo ammettere di non essere molto informata sullo stato dell’arte dei Teatri calabresi, tuttavia mi pare di poter dire che purtroppo anche in questo caso la nostra regione ha perso molte occasioni di far nascere e soprattutto rendere stabili esperienze musicali e teatrali diffuse sul territorio. Il Teatro di Crotone, che ho visitato nel 2011 quando il cantiere sembrava prossimo alla conclusione, non è ancora stato inaugurato e il gioiello del Teatro Rendano vive fasi alterne. Quello che pare sfuggire all’attenzione è che in assenza di investimenti da parte degli enti locali, non si possono attivare contributi ministeriali adeguati. Non investire, anche in termini di progettualità a medio termine, vuol dire rinunciare a una vita culturale e agli effetti che questa avrebbe sulla comunità territoriale di riferimento. Vuol dire non riconoscere alla nostra regione gli stessi diritti che altre regioni giustamente rivendicano con forza. Ne è esempio lampante la regione nella quale oggi lavoro che vanta in ambito musicale sei Teatri di Tradizione e una Fondazione lirico sinfonica. Un presidio capillare che costituisce un antidoto contro molti dei mali che affliggono le nostre comunità. Sì tratta certamente di un caso speciale e sarebbe interessante trarre spunto e ispirazione da esperienze che non si realizzano su un altro pianeta, ma in altre regioni del nostro stesso Paese».
Ha detto che grazie ai suoi figli ha imparato ad ascoltare genere musicali diversi, ma i suoi figli hanno imparato grazie a lei a mangiare calabrese?
«Non solo grazie a me, ma anche grazie ai lunghi periodi trascorsi a Crotone in vacanza fin da quando erano piccolissimi. Amano molto la cucina calabrese e molti dei piatti che hanno imparato ad apprezzare a Crotone fanno parte della nostra quotidianità».
Ha una ricetta perché Crotone possa diventare culturalmente polo di attrazione e invece non lo è?
«Come dicevo prima occorrerebbe sviluppare un progetto serio, finanziarlo adeguatamente, e garantire un orizzonte di medio termine alle attività per permettere di consolidarne i risultati. Un progetto mirato ad arricchire la vita culturale dei territori durante tutto l’anno e poi finalizzato ad incrementare l’attrattiva nel corso di una stagione turistica che potrebbe durare anche sei mesi all’anno… ma qui poi si innesta il problema delle infrastrutture, dei collegamenti e in generale dell’accessibilità. Problemi antichi, che se non risolti costituiscono un’ipoteca pesantissima che impedisce di liberare tutte le energie compresse e preziose che la nostra terra produce».
Ora le lascio tutto lo spazio che vuole per rivolgersi a chi a Crotone, tra mille difficoltà, cerca di fare teatro, musica, danza ecc. Che fare?
«Rivendicare attenzione ed essere propositivi. Sviluppare progetti e sottoporli con convinzione a chi può (e deve!) comprendere il ruolo fondamentale che questo tipo di attività ha e come può contribuire al colmare quel gap culturale che oggi non è più sostenibile né accettabile. Aprirsi e accogliere esperienze da mondi culturali diversi. Non diventare mai autoreferenziali. Portare i nostri linguaggi fuori dalle realtà in cui sono nati. Il Teatro e la musica portano a far parte di comunità aperte, pronte a migrare e a tornare. Le contaminazioni sono un fertilizzante di cui non si può fare a meno. Occorre crederci e non scoraggiarsi. Rinunciare vorrebbe dire rinunciare a guardare al futuro con un po’ di ottimismo e accettare il definitivo declino di una terra il cui passato e la cui storia ci raccontano che ben altri orizzonti abbiamo scrutato e a quelli dobbiamo e possiamo ancora ambire».
Anna Maria Meo ha frequentato il Liceo Classico Pitagora di Crotone ed è laureata in Lettere (con specializzazione sulla Storia della musica) all’Università di Siena.Ha fondato “Dincanto”, società che organizza viaggi culturali in Italia.
Anna Maria Meo è esperta di opera e teatro e con una pluriennale esperienza di management culturale in ambito nazionale e internazionale. Ha lavorato all’organizzazione e alla produzione di festival musicali e teatrali, collaborando con prestigiose istituzioni artistiche di e importanti musei per lo sviluppo di proposte espositive e programmi educativi.
È stata responsabile dei progetti culturali di Firenze oltre che essere stata alla guida del Teatro del Carretto di Lucca per 14 anni, in veste di direttore organizzativo e amministrativo, curando per la compagnia teatrale riconosciuta e finanziata dal Mibac produzione, co-produzione e distribuzione sul territorio nazionale e internazionale. È stata direttore di produzione del Teatro Romano di Fiesole. Ha anche lavorato come docente e ricercatrice all’Università di Firenze, sempre nell’ambito della progettazione culturale.
Con Anna Maria Meo, CrotoneNews intende avviare un ciclo di interviste a crotonesi che grazie alla loro preparazione e professionalità hanno ottenuto successo e fatto grandi altre realtà.