Crotone,
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Bergamotto, nelle mani di Vincenzo i segreti dell’ultimo “spiritaro”

Le sue mani custodiscono il segreto di un’arte antica. Un’arte che si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione. Un’arte che sta scomparendo. Vincenzo Amodeo è l’ultimo spiritaro: l’ultimo artigiano del bergamotto, in grado di estrarre a mano le preziose essenze contenute nella buccia di tutti gli agrumi. Quello a cui Vincenzo dà vita ogni volta che prende in mano un bergamotto è un autentico rito, fatto di gesti antichi, forti ed eleganti, che lui riesce a compiere con velocità e precisione. Mentre le sue mani incantano chi l’osserva. “Il profumo del bergamotto ce l’ho addosso da quando sono nato – dice – e con me tutta la mia famiglia. La mia è la quarta generazione di spiritari. I miei bisnonni, poi i miei nonni e mio padre. Io ho imparato da lui”. “Ho iniziato a tredici anni” racconta mentre taglia via i peduncoli dei frutti, “che strappano la spugna e complicano il lavoro”. “Si inizia di malavoglia – prosegue – poi piano piano te ne innamori, e questo mestiere ti rimane nel sangue”. Così è stato anche per lui, che dopo trent’anni da ferroviere a Monza è tornato nel suo quartiere di Gallico per continuare a fare lo spiritaro. “Abbiamo lavorato anche con le macchine – spiega – ma le abbiamo abbandonate per via del rumore, terribile”. Intanto con l’acciaino affila il coltello da spiritaro, quindi taglia ogni bergamotto in due metà esatte. Poi si sposta presso la sua madia, dove avviene la prima magia. Protagonista assoluto ne è il rastello, una specie di affilatissimo cucchiaio ricurvo; Vincenzo lo affonda in un punto tra la polpa e la buccia, e con un unico gesto circolare scava via la polpa, lasciando intatta la calotta della buccia. Il rastello – spiega – è stata una vera rivoluzione, per lo meno fino all’arrivo delle macchine. Perché prima i bergamotti si sbucciavano tagliandoli in tre, perdendo così tanta preziosa essenza”. A questo punto le bucce vengono immerse in una vasca colma di acqua e calce, “perché s’induriscano un po’, rendendo più facile l’estrazione dell’essenza”. Che avviene grazie ad un ingegnoso sistema di spugne, meglio se naturali. È dentro le spugne che avviene l’altra magia: Vincenzo prende mezza calotta del bergamotto e la preme dall’interno, ruotandola tre o quattro volte, dentro la spugna. Succo ed essenza impregnano le spugne, e filtrano nella concolina, un recipiente che storicamente era in coccio impermeabilizzato. Alla fine l’emulsione di essenza e acqua viene fatta cadere lentamente in un altro recipiente, mentre lo spiritaro soffia a pieni polmoni “perché l’essenza scenda verso il basso”.
Vorrebbe tanto, Vincenzo, riuscire a trasmettere l’amore per questo mestiere. “Molte scolaresche vengono qui – sorride – e si entusiasmano; quando escono, però, l’entusiasmo gli passa. Perché? Perché è un lavoro duro, pericoloso. Si sta in piedi per sei o sette ore, e il rastello se scappa lascia il segno nella carne. Poi la sfumatura va fatta buccia per buccia, e la schiena ne risente. Forse per questo non torna nessuno. È un mestiere che si può fare solo per passione”.