Riceviamo e pubblichiamo
Le tragiche storie dei bambini vittime innocenti di mafia nel libro del giornalista crotonese Bruno Palermo
di Pasquale Allegro
L’infanzia, ah quando c’è accade e ti travolge, quel periodo spensierato e felice, nessuna costrizione e nessuna ambiguità, quando è tutto così vero, la falsità no, quella è propria dell’età adulta. E poi le fatiche, la stanchezza, e chi si stanca mai, chi riposa mai a cinque sei anni; e le preoccupazioni, quelle non appartengono ai bambini, puri e innocenti sono loro. Poi cala la notte, i periodi bui, quelli più vergognosi della storia dell’uomo, in cui quella spensieratezza viene strappata con violenza e ferocia dalla vita di questi innocenti, con i volti deturpati in mezzo ai campi di calcio o sulle biciclette così veloci che a rincorrerle non le afferri; e come fai a catturare una farfalla, appartengono le farfalle e i bambini alla primavera, con quei colori ti piegano a pietà e allora li lasci andare; ma la morte no, è atroce, senza scrupoli, non la mafia, disumana, senza scrupoli.
La mafia li ha uccisi i bambini, da sempre. Non c’è alcuna verità sul codice etico dei mafiosi, per cui per carità le donne i bambini no, e chi li ha mai toccati. Basta rileggere la storia con questi occhi da grandi che ci ritroviamo, questi occhi adulti e saggi che comprendono che è accaduto, che accade e sempre allora può accadere. Basta leggere Al posto sbagliato. Storie di bambini vittime di mafia di Bruno Palermo (Rubbettino, 2015) per rendersi conto che scrivere la cronaca di storie di minori vittime innocenti di mafia significa provare a raccontare di un odio scuro più della notte che uccide i colori, del momento in cui i sentimenti dell’umanità intera si confondono, del giorno in cui la paura, la giustizia, l’integrità e la colpa si ritrovano inspiegabilmente diluiti dentro un unico folle gesto. Come un male assoluto, come un buco nero in cui minuscole creature sprofondano lontano dalla luce, in cui i bambini non sono vittime innocenti ma innocenti vittime, perché innocenti è il sostantivo non l’aggettivo, uno stato dell’essere.
E allora si comprende bene come in questo minuzioso lavoro di Palermo, con le sue centootto storie e i suoi centootto nomi e i centootto volti senza più sorriso, la fatica immane sia stata quella di trovare le parole per raccontarle, poi la forza d’animo per accompagnarle a inseguirsi afflitte rigo dopo rigo. Sforzarsi di esprimere l’indicibile è la missione del giornalista, dice don Luigi Ciotti nella prefazione, quel don Luigi che dai palchi da nord a sud quelle parole e quei nomi li urla come a consegnarli distanti nel tempo e nello spazio, che poi è quello che deve fare la memoria, viaggiare in lungo e in largo le coscienze.
Infatti questo libro vuole essere “una coscienza tascabile”, perché queste storie hanno tutto il peso delle cose vere di questo mondo, si impongono con il loro carico di verità: questi fatti esistono, queste persone esistono, con il sangue che corre alla ricerca di una forma. Qui la trova nella scrittura, che cerca di non incepparsi mai anche quando vorrebbe fermarsi qualche istante prima: prima che Dodò rientri in campo sognando di segnare alla Del Piero con un tiro a giro sul secondo palo; prima che Giuseppe in quel maneggio corri incontro ad una maschera di poliziotto certo di incontrare “papà amore mio”, e magari con un pizzico di fantasia lasciarlo a casa azzoppato quel cucciolo, come uno dei suo amati cavalli. Ma Al posto sbagliato non è fiction letteraria, è carne e sangue, è puzzo di bruciato che avvolge il povero Cocò sul retro di un’auto condotta al macello, è tanfo di acido, è scambio di persona, è la maglietta a righe del boss, la stessa che aveva addosso Mimmo in sella al suo motorino.
Bruno Palermo in questa pagine descrive la straordinarietà della morte – ché grazie a Dio non si muore ogni giorno così – e anche la quotidianità della vita, con degli incipit che fanno da preambolo di gioia alla notte che sta per accadere, così come accade la felicità di Anna, la sedicenne innamorata, e la notte profonda che sorprende Nicholas nel sogno che fa dormendo sui sedili posteriori di una macchina in viaggio. Nicholas e la sua astronave senza futuro. Così come, dopo un’esplosione di vita, inatteso viaggia il fragore delle onde di tritolo che trattiene il domani dei gemellini Giuseppe e Salvatore.
Questo è insomma uno di quei libri capaci di catturare le coscienze, con un prezzo alto da pagare, perché non si può certo attraversare il dolore senza farsene annientare, ma va bruciato tutto dentro quel dolore, per liberare la cenere leggera e inondare tutto attorno. Tutto questo è esistito e Palermo lo annota, fedele, e anch’io che leggo esisto e sono chiamato a impegnarmi, a non guardare fuori dalla finestra i corpi dei bambini sul ciglio di una strada che ha fatto la storia infame della nazione. Il nostro impegno, una memoria perenne che ci porti a ricordare e ci spinga a raccontare, a urlare – come fanno i matti, come Don Luigi, i matti di verità – l’urgenza di raccontare, affinché i bambini possano vivere la loro innocenza. Siamo chiamati in queste pagine a guardare all’orrore e al dolore, per piangere restituendo solchi profondi che non siano solo attraversati da commemorazioni sterili, per non lasciare indietro ritagli di memoria che la morte possa sbriciolare.
Qui ci sono invece testimonianze, e la vicenda privata diventa storia di tutti, attraverso una scrittura come quella di Palermo che si mette totalmente in gioco, ma con riserbo e grazia, in una confessione delle più viscerali. Un libro che gela il sangue, per cui riemergi da questa lettura come inerme e senza appigli, e insieme una lettura necessaria, secondo la vocazione più autentica dell’informazione. Perché sono storie vere così vere da essere vive, strazianti, una dopo l’altra in un viaggio dove tutto è scandalosamente fuori posto, e a noi non resta che un racconto a singhiozzi chiamato impegno, per poter dare una risposta ai bambini che domani ci chiederanno: è bello oggi il mondo, vero?”