Riceviamo e pubblichiamo
“Vandalismo a parco Pitagora
Avete mai sentito la frase “sembra di parlare ad un muro!”?
È un esclamazione che viene utilizzata per rappresentare allegoricamente una situazione in cui qualcuno interloquisce con un un’altra persona senza essere ascoltati. In questo caso il muro rappresenta un oggetto inanimato incapace di ascoltare e di rispondere. Ma non tutti i muri sono uguali, Crotone ne è la prova vivente ed in questi giorni abbiamo assistito ad un increscioso episodio nel quale alcuni muri, facenti parte di una scultura del ‘Giardino di Pitagora’, da oggetti inanimati hanno iniziato a parlare, ma soprattutto a descrivere una parte di società.
A pochi giorni dal ripristino ad opera di alcuni volontari, di queste pareti imbiancate pronte ad ospitare dei murales di alcuni artisti locali, opere inserite in un programma di riqualificazione del parco, ignoti hanno ben pensato di provvedere a riempire questi spazi con delle frasi. Se da un parte abbiamo una smielata dedica d’amore in ricordo del primo anniversario di fidanzamento, dall’altra invece abbiamo un chiaro messaggio discriminatorio a sfondo sessuale.
Sicuramente ci saranno pareri contrastanti, gente che definiraà tale scempio una forma d’arte di strada, a nostro parere ogni forma di ignoranza, violenza verbale e non, discriminazione e atteggiamenti irrispettosi verso terzi, non saranno mai associati a nessuna forma d’arte. Ebbene si, a Crotone i muri parlano. E quelle scritte se anche di poche righe ci dicono tanto e fanno più rumore di un ipotetico gruppo di persone che discute animatamente.
Pensare che in questa epoca esiste ancora gente che ha bisogno di etichettare, ma soprattutto di additare chi vive in libertà la propria vita, la propria sessualità e i propri sentimenti, fa davvero male. Pensare che ancora c’è gente che fa distinzione tra “maschi” e “femmina”, tra “bianco” e “nero”, tra “etero” e “omosessuale”, tra “ricco” e “povero” ecc. ecc., quando in realtà siamo tutti figli dello stesso cielo. Ma la domanda che ci poniamo è: perché accade tutto questo? Esistono diverse teorie a riguardo, una su tutte la teoria delle “Finestre rotte”.
La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti anti-sociali. La teoria afferma che mantenere e controllare ambienti urbani reprimendo i piccoli reati, gli atti vandalici, la deturpazione dei luoghi, il bere in pubblico, la sosta selvaggia o l’evasione nel pagamento di parcheggi, mezzi pubblici o pedaggi, contribuisce a creare un clima di ordine e legalità e riduce il rischio di crimini più gravi. Ad esempio l’esistenza di una finestra rotta (da cui il nome della teoria) potrebbe generare fenomeni di emulazione, portando qualcun altro a rompere un lampione o un idrante, dando così inizio a una spirale di degrado urbano e sociale.
Nel 1969 il professor Philip Zimbardo condusse un esperimento di psicologia sociale presso l’Università di Stanford. Egli lasciò due automobili identiche, stessa marca, modello e colore abbandonate in strada, una nel Bronx, zona povera e conflittuale di New York, l’altra a Palo Alto, città ricca e tranquilla della California. Lo scenario era quindi quello di due identiche auto abbandonate in due quartieri con tipologie molto diverse di abitanti, con una squadra di specialisti in psicologia sociale a studiare il comportamento delle persone in ciascun sito.
Ciò che accadde fu che l’automobile abbandonata nel Bronx cominciò ad essere smantellata in poche ore, perdendo le ruote, il motore, gli specchi, la radio, e così via; tutti i materiali che potevano essere utilizzati vennero rubati e quelli non utilizzabili vennero distrutti. Al contrario, l’automobile abbandonata a Palo Alto rimase intatta. In tali casi è comune attribuire le cause del crimine alla povertà. Tuttavia, l’esperimento in questione fu proseguito. Dopo una settimana, durante la quale la vettura abbandonata nel Bronx era stata completamente demolita mentre quella a Palo Alto era rimasta intatta, i ricercatori decisero di rompere un vetro della vettura a Palo Alto; in breve tempo i ricercatori assistettero alla stessa dinamica di vandalismo che avevano registrato nel Bronx: furto, violenza e vandalismo ridussero il veicolo lasciato a Palo Alto nello stesso stato di quello abbandonato nel distretto malfamato di New York. Nel 2007 e nel 2008 Kees Keizer e colleghi, all’Università di Groninga, hanno condotto una serie di esperimenti sociali controllati per determinare se l’effetto del disordine esistente (come la presenza di rifiuti o l’imbrattamento da graffiti) avesse aumentato l’incidenza di criminalità aggiuntive come il furto, il degrado o altri comportamenti antisociali. Gli scienziati scelsero diversi luoghi urbani successivamente trasformati in due modi diversi ed in tempi diversi. Nella prima fase (“il controllo”) il luogo fu mantenuto ordinato, libero da graffiti, finestre rotte, ecc.
Nella seconda fase (“l’esperimento”), il medesimo ambiente fu trasformato in modo da farlo sembrare in preda all’incuria e carente di ogni tipo di controllo: furono rotte le finestre degli edifici, le pareti furono imbrattate con graffiti e venne accumulata sporcizia. I ricercatori controllarono segretamente i vari luoghi urbani, osservando come le persone si comportavano in modo diverso dopo che l’ambiente era stato appositamente reso disordinato. I risultati dello studio corroborarono quindi la teoria. Nel ricordare che qualsiasi atto o forma di vandalismo è punibile dalla legge, il gruppo The Hope, offre la propria disponibilità agli enti gestori del parco, per il ripristino delle zone degradate, con l’augurio che il nostro messaggio possa raggiungere e sensibilizzare più gente possibile e rendere la città un posto migliore in cui vivere”.
I ragazzi di “The Hope”