Riceviamo e pubblichiamo
La proposta di tre consiglieri comunali, Meo, De Vona e Passalacqua, che hanno diffuso una nota alla stampa in cui annunciano di essere promotori di un progetto scabroso che vorrebbe usare i detenuti per la manutenzione a costo zero del verde pubblico, è una proposta sbagliata e pericolosa che ci fa precipitare negli anni più bui del ‘900.
Lavori forzati per ripagare la società, come se la pena inflitta, la privazione della libertà, non fosse da sola sufficiente. Ciò che lascia ancora più perplessi è come questa proposta abbia raccolto l’interesse del garante comunale per i diritti delle persone detenute.
Perché un garante dovrebbe “garantire” i diritti, non farli calpestare. Ma tant’è!
Il lavoro gratuito per i detenuti è lavoro coatto, quindi forzato. Ricordiamo che Auschwitz-Birkenau era un campo di lavoro forzato, dopo allora vietato dal diritto internazionale, tra gli altri, dall’art. 8 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 1966, entrato in vigore in Italia nel 1967 che recita “A nessuno può essere chiesto di svolgere lavoro forzato” e non ci sono eccezioni.
Le regole penitenziarie europee impongono che il lavoro penitenziario debba essere considerato come un elemento positivo del trattamento e della formazione del detenuto e deve servire ad avvicinare quanto più possibile il detenuto alle condizioni normali di lavoro libero perciò “deve essere previsto un sistema equo di remunerazione”.
Secoli di storia di sfruttamento umano hanno insegnato al mondo che il lavoro non può che essere retribuito. Perché il lavoro è principio fondante della nostra società e della nostra costituzione, che lo tutela in tutte le sue forme, a partire dal diritto alla retribuzione.
La previsione normativa di cui all’art. 15 dell’ordinamento penitenziario che ammette la partecipazione dei detenuti a progetti di pubblica utilità probabilmente è stata fraintesa dai nostri solerti restauratori. I progetti di pubblica utilità a cui il detenuto può volontariamente prendere parte devono essere incentrati al recupero della socialità e della cittadinanza attiva – nella prospettiva rieducativa imposta dall’art. 27 della costituzione- e devono essere progetti in cui il detenuto possa esprimere un se stesso sociale. Ciò che invece i quattro consiglieri comunali propongono è manovalanza a costo zero per ottenere lavoro di competenza del Comune che non gravi, però, sulle casse comunali. Nella città con il più alto tasso disoccupazione di tutta Europa, l’uso dei lavori forzati gratuiti che sostituisce il lavoro retribuito è un doppio abominio, che spinge ad una guerra tra soggetti fragili al grido di “per il comune il risultato è gratis”. Dietro quel gratis c’è tutta la mancanza di dignità e sensibilità, di rispetto per i diritti umani, per tutti, detenuti compresi.
Ci saremmo aspettati da chiunque nel consiglio comunale dell’ultima provincia dell’impero un progetto per cooperative di detenuti o ex detenuti oppure di giovani e meno giovani da impiegare – con regolare retribuzione – nella cura del verde pubblico e ci saremmo aspettati da un garante dei detenuti la pretesa di un progetto a favore dei detenuti orientato all’acquisizione di professionalità, al reinserimento sociale e lavorativo, non allo sfruttamento. Serve un grande lavoro culturale che racconti di come i percorsi lavorativi che garantiscono dignità, diritti ed autonomia siano fondamentali tanto per la persona detenuta quanto per la collettività. Di certo non ci serve condannare due volte chi paga già con la privazione della libertà personale il proprio debito con la società.
Liberi per Crotone