“Ci negano il diritto alla salute e alla genitorialità”. Questo è quanto scrive varesenews.it che riprende la denuncia di due detenuti, mariti e moglie originari del Cirotano.
“G.S. e S.M. – scrive il giornale on line del Varesotto – sono una coppia e sono stati condannati a 2 anni e 6 mesi entrambi nel processo di primo grado che si è svolto a Busto Arsizio contro alcuni dei coinvolti nell’operazione contro la ‘ndrangheta lonatese denominata Krimisa. Ora sono agli arresti domiciliari insieme, hanno scontato già oltre metà pena”.
I coniugi, attraverso i loro legali, denunciano che il Tribunale di Busto Arsizio non accoglierebbe le loro istanze.
“In particolare – continua lo scritto di varesenews.it – G.S. sostiene di non poter accedere alle cure di cui avrebbe bisogno”.
Il giornale lombrado riporta, poi, le dichiarazioni di G.S.: “Quando ero in carcere ho perso 5 visite mediche perchè qualcuno aveva perso la mia documentazione. Soffro di attacchi di panico, ansia e disturbi da stress ma non mi viene concessa la possibilità di essere accompagnato nelle strutture sanitarie. La mia compagna S.M. era incinta e non le davano la possibilità di andare dal ginecologo. Solo quando ha deciso di abortire le è stata concessa la possibilità di farlo. Per questo ho presentato un esposto alla Procura della Repubblica in data 12 gennaio”.
“G.S. – scrive ancora varesenews.it – lamenta anche la negazione del diritto alla genitorialità: «Ho chiesto di poter vedere i miei figli al di fuori dell’abitazione ma la risposta è stata negativa. Ho presentato una seconda denuncia querela alla Procura della Repubblica perché in base ad un’interpretazione estensiva di una norma del codice di procedura penale da parte della Corte di Cassazione esiste la possibilità di allontanarsi dalle mura domestiche per vedere un figlio minore. – Piccole e grandi privazioni, insomma, come quella di non poter andare a fare la spesa – Non abbiamo nessuno che può aiutarci e il nostro frigo è vuoto – aggiunge G.S. il quale sottolinea anche di essere innocente fino al terzo grado di giudizio e di non meritare un trattamento del genere”.