Riceviamo e pubblichiamo
“Non parlo, non sento, non vedo”.
Non credo di aver mai compreso appieno il significato di questa frase quanto in questo periodo. È settembre. E mi trovo a riflettere sul significato della parola cambiamento. Forse perché settembre è un mese di cambiamenti: si torna al lavoro dopo le ferie estive, a scuola si conoscono nuovi compagni di classe, si cambiano professori, colleghi e poi ricomincia la solita routine.
In questi ultimi anni sono stato coinvolto in un intrico di cambiamenti imprevisti che non avevo chiesto io di affrontare e che mi hanno trasformato totalmente la vita: ho vissuto e sto tuttora vivendo una sorta di metamorfosi kafkiana, e, come questa, una trasformazione in negativo. A volte mi sento proprio come quel Gregor Samsa del racconto di Kafka: un uomo, che si sveglia un giorno nel suo letto e, pur avendo ancora capacità intellettive umane, si trova in un corpo che non riconosce come suo. Ecco, anch’io ho subito una metamorfosi, non mi sono trasformato logicamente in un insetto, ma c’è chi ha provato a togliermi la dignità umana.
Non nascondo tuttavia di avere trovato del buono in tutto ciò, ho realizzato quante sono le persone che mi vogliono bene e che mi appoggiano, ho capito che non è oro tutto quello che luccica, che esiste anche una sanità di qualità, che ci sono medici competenti a cui sta a cuore la vita dei pazienti e li considerano loro unica priorità. Dopo quattro interventi chirurgici molto ravvicinati nel tempo mi trovo imprigionato in corpo che non riconosco e che porta la firma di chi mi ha ridotto in questa situazione. Cerco di dimenticare, di vivere la vita come meglio posso. Ma ogni volta che mi guardo allo specchio vengo travolto da uno tsunami di ricordi e mi sento trascinare inesorabilmente in uno stato di consapevolezza da cui emerge tutto il mio passato. La cosa più dolorosa di tutto ciò? …. Il silenzio. Un silenzio che lascia spazio alle mille voci nella tua testa, un silenzio troppo chiassoso, che ti fa sentire dimenticato, vulnerabile, non protetto. Un silenzio da parte di chi pensavi dovesse proteggerti. Un silenzio che ti lascia a te stesso, impantanato in sabbie mobili, dove vorresti dimenarti con tutte le forze e aggrapparti a qualcosa, ma tutto quello che puoi fare è restar fermo e urlare a squarciagola chiedendo aiuto, mentre sprofondi, venendo inghiottito e seppellito vivo.
E mentre qualcuno, l’autore della mia metamorfosi, viene probabilmente protetto da qualche istituzione ed è libero di continuare a fare il suo lavoro dopo aver ridotto me, e molti altri, in uno stato fisico “pietoso”, io invece ho a che fare con una burocrazia lenta e sviscerante, che sa, ma non parla, ode, ma non sente, guarda, ma non vede.
Vito Vona
# iostoconilpaziente