Per parlare di noi che siamo rimasti
I vuoti non si colmano, nemmeno quando passa il tempo perché, se dio vuole, siamo unici. E così l’ultimo saluto a Raffaele ha rimarcato l’irripetibilità di umori, sensazioni, palpiti, baci e strette di mano che non replicheremo in occasioni altrettanto tristi. Magari ci capiterà di usare le stesse lacrime, ma non saranno le stesse. Usare, non versare. Perché usate sono le emozioni, abbiamo smarrito la cognizione di quanto ciascuno di noi sia portatore d’unicità. Quelle di questi giorni sono state lacrime di purezza, non perdevamo il cugino, il nipote od il compagno di sbronze, perdevamo ciò che dovrebbe essere lo stare insieme. Perdevamo la gratuità dell’abbraccio, la coralità dell’abbandono. Perdevamo il credere in qualcosa, senza calcoli, solo per esistere. Senza contropartita, senza un mood che ci spiegasse cos’è l’essere impegnati ed in prima linea per un’idea. Perdevamo la dimensione naturale dell’esporsi senza paracadute solo perché tutto il resto non avrebbe senso. Andava via con lui l’urgenza dell’anima che lasciamo alle sue grida inascoltate. Ci abbandonava, con il suo corpo inerte, il donchisciottismo nobile sul quale l’oggi ci ha portato a fare risatine di sufficienza. Raffaele è riuscito nell’impresa improponibile di vedere mischiate lacrime staliniste, libertarie, anarchiche, confusamente progressiste, ingenuamente qualunquiste, movimentiste e semplicemente da bar…Le lacrime sono lacrime, tutte uguali. I miei occhi annebbiati ricordano un attimo sopra tutti: suo fratello all’uscita dalla cerimonia, bara in spalla ed il volto stravolto. L’espressione caparbia, decisa mentre batteva il pugno sul legno intonando “Fischia il vento”. Non posso dimenticare quel viso contratto di rabbia impotente. Era suo fratello e sapeva che a lui avrebbe fatto piacere. Ma inni, bandiere ed appartenenze, ai funerali non mi piacciono perché escludono sempre qualcuno dall’abbraccio. Fanno fuori qualcuno dal dolore, mettono un cappello sulla perdita, ne fanno un fatto territoriale da spendere per i vivi. E se non sappiamo meritare la morte, non possiamo meritare una vita che sia vita. E noi, almeno noi che domenica eravamo lì, teniamo alla vita di tutti. Per il resto, si può essere nostalgici sia da destra che da sinistra, ogni ideologia ha le sue retoriche, ma le idee no. Le idee non sventolano bandiere ma testimoniano con pudore e silenzio, senza giochini trasversali e tornaconti. Ieri Francesca diceva che nessuno di noi è cattivo…è vero. Ma nessuno di noi è veramente buono, noi che siamo rimasti. Perché credere in qualcosa è totalizzante, e qualche volta non ce la facciamo. Grazie ancora, fratello, per averci insegnato come si fa a stare insieme nella fragilità e nella forza.